In questi giorni se ne sta parlando molto e francamente dopo il mio esame di maturità del lontano 1992 non ci ho più pensato molto.
L’altra mattina in radio ho ascoltato l’intervista ad uno dei ragazzi che ha contestato le modalità con cui avviene l’esame di stato: parliamo comunque di un esame in cui vengono promossi praticamente tutti, parliamo del 99,8%. E già questo è un dato che fa riflettere, vuol dire che non è paragonabile ad un esame universitario, ad un colloquio di lavoro, o ad una presentazione che si fa ad un cliente: è una cosa a sé.
Nella stessa mattina ho incontrato un’altra ragazza, circa la stessa età, che non è disposta a lavorare in luoghi in cui deve svolgere compiti che vanno contro la sua etica e il suo modo di concepire il lavoro, come ad esempio lavorare in negozio e dover spingere a tutti i costi le vendite.
Voi mi direte che il lavoro è quello che è e che se devi pagarti l’affitto fai qualsiasi cosa, ma dove sta scritto?
I giovani si trovano in un modo iper tecnologico, dove si sono accorciate le distanze, si può viaggiare, si può comprare praticamente qualsiasi cosa da qualsiasi parte del mondo, l’IA sta stravolgendo tutto e noi continuiamo ad avere una mentalità del lavoro e della scuola che probabilmente è la stessa di 50 anni fa.
Facciamo un breve viaggio nel tempo.
Mio papà è nato nel 1945 ed è andato a scuola fino alla terza media (lui la chiamava terza avviamento, perché ti “avviava al lavoro”). Faceva parte di una famiglia numerosa e sia lui che i fratelli non hanno proseguito con gli studi.
Arrivato a 14 anni ha iniziato a cercare lavoro, bussando letteralmente ai vari portoni per chiedere se avevano bisogno; non sapeva chi sarebbe uscito da quella porta, non sapeva che tipo di attività ci fosse dietro quella porta. La sua ricerca del lavoro era proprio la ricerca di un lavoro qualsiasi, bastava lavorare. La sensazione che ho è che all’epoca il lavoro era un qualcosa che andava cercato e una volta trovato non ti ponevi tante domande, andavi avanti per 40 anni a svolgere un lavoro che avevi trovato un po’ a caso. Ti piaceva? Non ti piaceva? Erano domande che non ci si poneva.
La mia generazione si è trovata un po’ nel mezzo: il lavoro a tempo indeterminato ha iniziato a non esistere quasi più, e ci siamo ritrovati con una mentalità da “tempo indeterminato” e vivere in un mondo fatto di contratti a termine: 1 mese, 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, i rinnovi.
I nostri genitori programmavano le ferie da un anno all’altro (quanti di voi sono andati in vacanza sempre nello stesso posto per anni? “Stessa spiaggia stesso mare”, no?), la nostra generazione e quelle successive non sanno neanche se ci andranno, se avranno i soldi per farlo, se dovranno lavorare perché magari li assumono 2 mesi per le sostituzioni ferie… degli altri.
In qualche modo ci siamo trovati in mezzo, siamo stati risucchiati da questa follia senza rendercene conto.
E poi ci sono loro, i giovani: quelli che sono sempre attaccati alla Play, quelli che “non ci sono più i giovani di una volta”, quelli che usano l’IA “così il loro cervello si spegne e non ragionano più", quelli del divano e della vita facile.
Ma è proprio così?
Io credo che i giovani di qualsiasi epoca siano sempre la miglior versione dell’essere umano. Sono quelli che hanno energia, idee, velocità di pensiero, capacità.
E la società cosa fa nel supportarli? Poco o niente.
Mentre per la mia generazione prendere un diploma o una laurea era la quasi certezza di avere un lavoro, in qualche modo, “scelto” grazie al percorso di studi fatto, ma a volte poi rovinato dal lavoro precario, per i giovani non è più così.
Entrano in un mondo del lavoro che non è all’altezza del loro talento, cha ha una mentalità vecchia ed è gestito male.
La scuola sta cercando di stare al passo con i tempi, ma si muove troppo lentamente.
Stiamo ancora discutendo se è giusto che i ragazzi portino lo smartphone in classe o che utilizzino l’IA per fare i compiti, ma stiamo scherzando?
Per gli studenti usare l’IA è un modo per fare i compiti più in fretta e allora perché non si punta su altro? Se utilizziamo l’IA come un supporto, perché non aiutiamo i giovani ad imparare di più, a sviluppare maggiormente il pensiero critico, l’etica?
Se con l’IA si possono creare dei testi perché non ragionarci su e capire come migliorare questo testo. L’IA ci può fornire una base, una bozza, ma il lavoro non è finito. Stimoliamo i giovani ad esprimere un loro pensiero, un commento ad un evento, ad una poesia. Facciamoli studiare la filosofia, la storia e ragioniamoci su. Non è l’IA che sta rovinando i giovani, è la nostra incapacità di andare oltre, di offrire loro stimoli intellettuali.
Perché noi siamo la generazione che ha studiato per i voti e queste cose non le sappiamo fare.
Torniamo all’esame di maturità, o meglio all’esame di stato.
Partiamo dalla sua definizione:
“L'esame di maturità, noto anche come esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione, è un esame che si sostiene al termine del percorso scolastico delle scuole superiori in Italia. Il suo scopo è quello di valutare le competenze e le conoscenze acquisite dagli studenti durante i cinque anni di scuola. Il superamento di questo esame consente di ottenere il diploma di scuola secondaria superiore, necessario per l'accesso all'università o ad altri percorsi di formazione superiore.”
Quindi l’esame di stato serve a certificare le competenze acquisite. Quindi non serve a capire se una persona è “matura”, ma a capire se una persona “sa le cose”.
Bene.
Questo esame viene passato dal 99,8% degli studenti, quindi possiamo presumere che dei 500.000 studenti che hanno dato la maturità quest’anno, siano stati bocciati circa 1000 ragazzi.
Cercando su Google dati un po’ a caso troviamo che la percentuale dei ragazzi che supera lo scritto di Analisi matematica 1 è di circa il 30-40%, la percentuale di superamento dell’esame di avvocato è del 55% e così via.
Possiamo quindi supporre che l’esame di maturità non certifichi alcune competenza? Direi di sì.
E allora a cosa serve? A prepararti alla vita? A vincere le tue paure? A studiare come un matto?
Non si sa.
Ho dato la maturità scientifica nel 1992 e la sensazione che avevamo era che questo esame fosse un salto nel buio. Potevi essere bravissimo, ma sia agli scritti che all’orale potevano chiederti argomenti non svolti in classe. E allora su cosa mi stai valutando? Sulla mia capacità di arrampicarmi sui vetri? Sulla mia capacità dialettica di spostare l’attenzione dove voglio io? Funambolismo? Su cosa?
Facciamo ancora un breve salto nel mondo del lavoro.
Adesso sempre di più il mondo del lavoro chiede persone con competenze tecniche (Hard Skills) ma anche persone con ottime competenze trasversali (Soft skills come il problem solving, la leadership, la capacità di lavorare in gruppo, l’empatia, il pensiero critico, l’organizzazione, ecc.) che, però, non vengono insegnate da nessuna parte, se non durante qualche corso di formazione in azienda: quei corsi che quando lavori sei obbligato a fare, di solito online, e che utilizzi per farti i fatti tuoi, spegnendo la videocamera e approfittandone per guardare Instagram o prenderti un caffè, un po’ alla Frank Gramuglia.
Ecco.
Ma se le competenze trasversali sono così importanti, perché ce ne rendiamo conto solo durante un colloquio di lavoro? Perché non aiutiamo i giovani a svilupparle durante il loro percorso scolastico?
Chiusa parentesi.
Per come funziona la nostra società il voto è fondamentale.
Il voto di maturità serve per partecipare ai concorsi pubblici, serve per gli esami di ammissione ad alcune facoltà e per i primi colloqui di lavoro e serve anche alle persone come indicatore, più o meno affidabile, del proprio livello di preparazione.
Quello che gli studenti ci stanno dicendo è che loro vogliono andare oltre.
Vogliono essere ascoltati e visti come individui. Vogliono dirci che sono in gamba, che hanno delle passioni, dei progetti, dei talenti. Vogliono raccontarci la vita per come la vedono loro.
E questo credo sia fantastico!
Ci stanno dicendo che non vogliono uniformarsi alla folla, che dietro ad un 60/100 o ad un 100/100 c’è molto di più, che l’esame di stato per come è concepito gli sta stretto.
Ci stanno anche dicendo che tutti i soldi che vengono utilizzati per questo esame sono inutili.
Perché non pensare ad un esame diverso, più stimolante per loro?Proviamo a ragionarci su.
Adesso il voto di maturità è determinato dai crediti scolastici e poi dal voto delle prove scritte e dall’orale.
Gli studenti hanno contestato l’orale, per cui possiamo focalizzarci su quello.
Perché non far portare ai ragazzi, non una tesina su argomenti scolastici, ma un vero e proprio progetto, qualcosa che parli di loro.
Un progetto professionale, un progetto nato da un hobby, qualcosa che li aiuti a capire qual è il loro talento e come svilupparlo.
Non sto parlando di qualcosa di veloce e superficiale, ma di un progetto pensato, ben articolato, complesso. Questo potrebbe aiutare i ragazzi e fare chiarezza sul loro futuro, a porsi delle domande, ma anche a capire meglio chi sono e cosa vogliono dalla vita.
Alcuni ragazzi prima della maturità hanno già avviato una loro attività, ma siamo sicuri che siano poi in grado di sostenerla nel tempo? Ci hanno pensato?
Altri invece escono dalla scuola superiore senza un’idea precisa: perché non farli ragionare sui loro sogni, sui loro talenti, sulle loro paure?
Tra le tante materie che vengono insegnate, perché non aggiungere un paio d’ore alla settimana di questo? Magari dal terzo anno in poi?
Umberto Galimberti ci dice che l’essere umano ha il massimo di potenza intellettuale tra i 15 e i 30 anni
Leopardi ha scritto l’Infinito a 21 anni l’infinito
Einstein ha teorizzato la relatività a 24 anni
Heisenberg ha formulato il Principio di indeterminazione a 25 anni
“E noi ai ragazzi di quell’età gli facciamo fare le fotocopie, o li assumiamo con i co.co.co.”
(trovate il video su YouTube)
La domanda che viene immediatamente dopo è questa: noi come adulti siamo in grado di aiutarli in questo? Siamo in grado di sostenerli e aiutarli nel progettare il loro sogno, o l’unica cosa che ci viene bene è tarpare loro le ali e dire loro cosa è giusto e cosa è sbagliato?
Siamo in grado di sostenere progetti non convenzionali?